Allegato: Cresime a Caprino Veronese e Lazise
III domenica di Quaresima 2025
Cresime a Caprino Veronese e a Colà Pacengo
(Es 31-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9)
Caprino Veronese e Lazise, domenica 23 marzo 2025
“Si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici”. Un fatto di cronaca nera attira l’attenzione della gente. I soldati di Pilato hanno massacrato un gruppo di pellegrini galilei che stavano per sacrificare l’agnello pasquale perché probabilmente si trattava di zeloti o simpatizzanti della lotta armata contro l’occupazione. Chiedono dunque a Gesù: è pro o contro l’occupazione? Approva o no la lotta armata? E che cosa pensa di quegli uomini uccisi? Sembrano le stesse domande che riecheggiano in queste ore: da che parte stare? Come schierarci? Armiamo o no l’Europa di nuovo?
Gesù replica inizialmente con due brevi parabole per negare un’equazione ricorrente che lega delitto a castigo. A prima vista si potrebbe pensare che la morte violenta di alcuni Galilei da parte di Pilato e quella di alcuni operai uccisi dal crollo di una torre sia l’effetto dell’ira di Dio. Ma Gesù chiarisce: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Noi ragioniamo sempre in termini di castigo di fronte a fatti dolorosi. Ma Gesù vuol distruggere questa immagine di Dio che castiga tanto cara agli uomini religiosi di ogni tempo. E perciò rincara la dose: “Quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Così ci viene instillato che ogni vita è precaria, fragile, a rischio. Per questo occorre cambiare. E non si dice come, ma se ne afferma l’urgenza. Bisogna cambiare radicalmente; se la vita è così transitoria, deve cambiare il nostro approccio alla realtà. Sapere che siamo così transitori ci cambia lo sguardo.
“Taglialo”, dice il padrone della vigna. “No, lascialo”, replica il contadino. Che alla fine chiude così: “Tu lo taglierai, non io!”. Gesù conclude con una terza struggente parabola dove si crea un contrasto tra un padrone e un contadino. Il primo è stufo di aspettare un frutto che non arriva; l’altro sa attendere con pazienza. E chiede una dilazione. E comunque a tagliarlo non sarà certo lui. Questa tensione tra il padrone e il contadino dice quale sia il volto di Dio. Quello ovviamente del contadino che sa attendere e ancora una volta offre un’opportunità. Questa è la conversione da operare nel nostro immaginario di Dio che trasforma anche il nostro approccio agli altri. Non rassegnarsi ai fallimenti ma spingere perché ogni mattina si ricominci daccapo. Urgenza e pazienza, minaccia e incoraggiamento non si contraddicono. Il tempo è medicina. Ci può essere un futuro aperto per la storia. Mai mollare la presa su di sé. Come suggerisce un grande educatore: “Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso, ma chi mira in basso. Rinfacciargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza” (don Milani).