L’equilibrio tra sicurezza e rischio, tra radicamento e libertà – Ritiro pasquale

Allegato: Ritiro pasquale Scuole Aportiane a Peschiera

Ritiro pasquale Scuole Aportiane “Sacra Famiglia”
Peschiera del Garda, sabato 22 marzo 2025

La sfida dell’insegnamento e dell’educazione oggi

La sfida dell’educazione nella scuola primaria è particolarmente affascinante e impegnativa nel contesto attuale, perché a volte ci si sente come Cristoforo Colombo: in mare aperto, con un progetto in testa, un equipaggio stanco e una mappa sbagliata nelle mani. Si tratta allora di cercare un nuovo equilibrio che consenta di attraversare le onde senza naufragare: da un lato insegnare a stare con i piedi per terra e a riconoscere le radici, dall’altro incoraggiare il volo di ogni bambina e di ogni bambino verso la propria libertà. Come il gabbiano Jonathan di Richard Bach, i nostri bambini cercano radicamento in un tessuto di relazioni vitali e culturali, ma anche la loro stessa libertà. Jonathan è un gabbiano che si allontana dal suo stormo perché vede i suoi simili impegnati solo a procurarsi cibo. Attività giustissima, ma lui ha bisogno e desiderio di sperimentare voli più complessi. Certo, così lui sfida i limiti della realtà, della sua esistenza, e anche della fisica. Rischia di cadere. E cadere è considerato vergognoso e disonorevole nella comunità dei gabbiani, per i quali “stallare” o perdere il controllo in volo è qualcosa di inammissibile.

La mamma cerca di riportarlo nel solco del conosciuto e lui: «Non m’importa se sono penne e ossa, mamma. A me importa soltanto imparare che cosa si può fare su per aria, e cosa no: ecco tutto. A me preme soltanto di sapere».

Nel testo di Mauro Magatti, Non avere paura di cadere. La libertà al tempo dell’insicurezza (Mondadori 2019), la libertà a cui dobbiamo educare non riguarda mai solo ed esclusivamente il soggetto singolo ma prende forma in ogni relazione – affettiva, educativa, sociale, culturale, politica – per cui si tratta di imparare a essere generativi.

Allora la libertà è:

  1. Esercizio: va allenata, nelle piccole situazioni di ogni giorno, e va allenata insieme mostrando che quello che scegliamo ricade su tutti gli altri.
  2. Rischio: la libertà si esercita tra le paure e le sicurezze, tra il desiderio di protezione e il rischio di esposizione.
  3. Speranza: c’è possibilità di riparare, di ritrovarsi, di chiedere scusa, di fare i conti con un errore.
  4. Condivisione: si tratta di trovare un equilibrio tra l’espressione individuale e l’appartenenza a una comunità. La metafora dell’acrobata sul filo è particolarmente calzante: il vero coraggio non sta nel negare la possibilità di cadere, ma nell’accettarla come parte del percorso senza che essa ci paralizzi.

Il gabbiano Jonathan viene respinto dal suo stormo, fatto sentire diverso, preso in giro – bullizzato diremmo oggi – ma è qui che l’educazione può fare la differenza. E anche un po’ di ostinazione: andare controcorrente, smetterla di credere che il bene è il “si è sempre fatto così”, imparare a volare insieme tra le differenze. È così che Jonathan diventa inaspettatamente insegnante a propria volta. Nei suoi strani voli si disegna qualcosa di nuovo, una comprensione più profonda della vita. L’educazione implica sempre un equilibrio tra sicurezza e rischio, tra radicamento e libertà di esplorare. Questa tensione è ineliminabile: abbiamo bisogno tanto di punti di riferimento stabili quanto della possibilità di spingerci oltre l’orizzonte conosciuto e condiviso fino ad allora.

Ma c’è bisogno di attenzione: con quali paure e con quali desideri, con quali domande e con quali risposte già ricevute, oggi i bambini e le bambine ci guardano, ci parlano, ci cercano e ci trovano? Con quali solitudini sono abituati a vivere? A quali indifferenze loro non fanno più caso? Da quali ferite non riescono a guarire? A quali curiosità hanno rinunciato?

Insegnare a questa infanzia significa sentire la responsabilità di tutto questo e sapere che si tratta di un discernimento continuo: si tratta di capire quando occorre radicare nella stabilità di ciò che è necessario e quando incoraggiare ad assumersi il rischio di una libertà che non può avere garanzie.

Punti essenziali

L’immagine del mare aperto, con il suo senso di vastità e incertezza, rappresenta bene la sensazione che proviamo talvolta come insegnanti ed educatori. Eppure, è proprio in questo spazio di apparente disorientamento che possiamo trovare le opportunità più ricche di crescita, sia per le bambine e i bambini che per noi stessi.

  1. Il coraggio dell’imprevisto. Insegnare con questa sensibilità educativa significa accettare l’imprevisto come opportunità di crescita. In classe, ciò si traduce nell’accogliere le domande inaspettate, le reazioni sorprendenti, gli interessi che emergono spontaneamente. Quando un bambino o una bambina porta una prospettiva inattesa, possiamo scegliere di abbracciarla come occasione di apprendimento collettivo anziché considerarla una deviazione dal programma.
  2. Accogliere e curare le ferite invisibili. I bambini e le bambine che oggi entrano nelle nostre aule portano con sé storie sempre più complesse. Molti di loro arrivano a scuola con ferite psicologiche ed emotive profonde, spesso invisibili a uno sguardo superficiale. Queste ferite possono derivare da molteplici fonti: dinamiche familiari difficili, esperienze traumatiche, pressioni sociali eccessive, sovraesposizione a stimoli digitali o semplicemente dall’assenza di quegli spazi di gioco libero e di esplorazione che hanno nutrito l’infanzia per generazioni. Le vulnerabilità che bambine e bambini portano in classe non sono solo ostacoli da superare, ma parti integranti della loro identità in formazione, punti sensibili che possono diventare, con un accompagnamento attento, luoghi di particolare forza e consapevolezza.
  3. Preoccuparsi degli affetti. Le verità da trasmettere sono essenziali, ma occorre tenere conto anche delle condizioni emotive e pratiche di ciò che è vero. Un’educazione emotiva attenta richiede anzitutto la capacità di vedere oltre i comportamenti problematici per cogliere i bisogni insoddisfatti e le emozioni non elaborate che li generano. Quando un bambino manifesta aggressività, chiusura o iperattività, sta spesso comunicando un disagio che non sa esprimere in altro modo. Creare in classe un ambiente emotivamente sicuro significa offrire una presenza stabile e prevedibile, con routine rassicuranti e confini chiari ma non rigidi; legittimare tutte le emozioni, anche quelle considerate “negative”; modellare un vocabolario emotivo ricco; integrare nella quotidianità momenti dedicati all’alfabetizzazione emotiva; e creare rituali di auto-regolazione.
  4. Nutrire la curiosità di sapere. Il desiderio è il motore dell’apprendimento. Come insegnanti, abbiamo la responsabilità di alimentare nei bambini non solo la curiosità verso il mondo, ma anche la fiducia nella propria capacità di esplorarlo e comprenderlo. Questo significa prestare attenzione ai segnali di interesse autentico che ogni bambino manifesta, creare spazi dove sia possibile esprimere dubbi e incertezze senza timore, e mostrare noi stessi come persone che continuano ad apprendere e meravigliarsi.
  5. Insegnare che le parole sono potenti e possono incoraggiare o distruggere qualcuno. Le parole non sono semplici etichette che applichiamo alla realtà, ma strumenti potenti che la plasmano e la costruiscono. Come insegnanti della scuola primaria, siete in una posizione privilegiata: siamo tra i primi adulti significativi che introducono bambine e bambini al mondo condiviso, sociale, normato, politico, ma anche a fare i conti con il potere trasformativo del linguaggio. Per questo motivo, è fondamentale coltivare una consapevolezza attenta del nostro linguaggio in classe, distinguere tra le parole che definiscono il comportamento e quelle che definiscono la persona, prestare attenzione al potere performativo delle parole, riconoscere che le parole possono ferire profondamente, e comprendere che i silenzi, le parole non dette, comunicano talvolta più di quelle pronunciate.
  6. Insegnare la multiculturalità e la ricchezza delle differenze. La diversità in classe non è un ostacolo da superare, ma un patrimonio da valorizzare. Ogni bambino porta con sé una storia unica, un modo particolare di percepire il mondo, di apprendere, di esprimersi. Questa molteplicità di prospettive rappresenta una straordinaria opportunità educativa. Prendersi cura delle differenze significa anzitutto riconoscerle, non per etichettare o categorizzare, ma per accogliere l’unicità di ciascuno. Significa abbandonare l’idea di un’educazione standardizzata che pretende di trattare tutti allo stesso modo, per abbracciare invece un approccio personalizzato che risponda ai bisogni specifici di ogni bambino. Nel concreto, questo può tradursi in diversificare le modalità di presentazione dei contenuti, prevedere percorsi di apprendimento flessibili, valorizzare le intelligenze multiple e creare occasioni in cui le diverse sensibilità e competenze possano essere messe al servizio del gruppo. La cura delle differenze non riguarda solo gli stili di apprendimento o i talenti, ma anche le diverse provenienze culturali, familiari, sociali. Queste differenze sono preziose occasioni per ampliare l’orizzonte di tutti, per scoprire che esistono molti modi di abitare il mondo, tutti legittimi e degni di rispetto.
  7. Insegnare il conflitto costruttivo: il conflitto è parte ineliminabile delle relazioni umane, specialmente in contesti dove le differenze si incontrano quotidianamente, come la scuola. Eppure, la nostra cultura tende a considerare il conflitto come qualcosa di negativo da evitare o reprimere, piuttosto che come un’opportunità di crescita e apprendimento. Educare i bambini a “litigare bene” significa fornire loro gli strumenti per gestire le divergenze in modo costruttivo, senza che queste degenerino in violenza fisica o verbale. Non si tratta di eliminare i contrasti, ma di trasformarli in occasioni di scambio ed evoluzione. In classe, possiamo creare strutture che favoriscano questo approccio e modellare un modo sano di affrontare i conflitti tra adulti, ricordando che i bambini imparano più da ciò che vedono che da ciò che sentono.
  8. Educare al riconoscimento dell’autorevolezza e dei ruoli. In un contesto sociale caratterizzato da una crescente sfiducia nelle istituzioni e dalla crisi di molte figure di riferimento tradizionali, educare al riconoscimento dell’autorevolezza diventa una sfida cruciale. Non si tratta di restaurare un’autorità imposta dall’alto e accettata passivamente, ma di coltivare nei bambini la capacità di distinguere tra forme diverse di influenza, riconoscendo il valore di quelle basate sulla competenza, sull’esperienza e sull’integrità. In classe, possiamo favorire questo apprendimento attraverso diversi percorsi:
    • Offrire ai bambini l’esperienza di un’autorevolezza che si esprime come servizio alla loro crescita, non come affermazione di potere. Quando l’insegnante mostra che le regole proposte e i limiti stabiliti hanno come fine il benessere e lo sviluppo di ciascuno, aiuta i bambini a comprendere che l’autorità può essere una forza positiva, non oppressiva.
    • Creare occasioni per incontrare diverse figure di riferimento della comunità, ciascuna portatrice di competenze specifiche. Conoscere il lavoro del bibliotecario, dell’artigiano, dell’infermiere, del volontario sociale aiuta i bambini a comprendere che il sapere e l’esperienza assumono forme diverse, tutte degne di rispetto e di ascolto.
    • Modellare un atteggiamento di rispetto verso le diverse forme di conoscenza. Quando mostriamo ai bambini che siamo disposti ad ascoltare e a imparare da chi ha competenze in ambiti diversi dal nostro, offriamo un esempio potente di come il riconoscimento dell’autorevolezza sia un’attitudine che arricchisce, non diminuisce chi la pratica.
    • Aiutare i bambini a distinguere tra autorevolezza e autorità formale. Non tutte le persone che ricoprono posizioni di potere sono automaticamente autorevoli, così come l’autorevolezza può essere riconosciuta in persone che non ricoprono ruoli istituzionali. Sviluppare questa capacità di discernimento critico è essenziale in una società democratica.
    • Chiarire i diversi ruoli educativi, senza creare confusione o sovrapposizioni. I bambini beneficiano del sapere che figure diverse (genitori, insegnanti, educatori, allenatori) hanno responsabilità e competenze specifiche, che si complementano senza sostituirsi l’una all’altra.

Educare al riconoscimento dell’autorevolezza significa, in ultima analisi, formare persone capaci di orientarsi in un mondo complesso, valutando criticamente le diverse fonti di influenza e individuando quelle che meritano fiducia e rispetto. Questa competenza è essenziale non solo per il percorso scolastico, ma per l’intera vita sociale e civile.

  1. Coltivare un rapporto armonioso con la natura. In un’epoca segnata dalla crisi ecologica, educare a un rapporto armonioso con la natura diventa un compito urgente. I bambini hanno una naturale capacità di meravigliarsi di fronte al mondo naturale, di percepirne la bellezza e la vitalità. Il nostro compito è preservare e coltivare questa sensibilità, contrastando la visione strumentale e dominativa che permea la nostra cultura. Educare al rispetto della natura significa anzitutto offrire esperienze dirette, non mediate, di contatto con gli elementi naturali. Che si tratti di un giardino scolastico, di un parco urbano o di un’uscita in ambiente naturale, è importante che i bambini possano toccare, odorare, osservare, ascoltare il mondo vivente in tutta la sua concretezza. Attraverso queste esperienze, possiamo aiutare i bambini a sviluppare una postura di ascolto e attenzione verso il mondo naturale, una consapevolezza delle complesse interdipendenze che legano tutti gli esseri viventi, un senso di appartenenza alla comunità biotica, e una responsabilità attiva, che si esprime in gesti concreti di cura e rispetto.
  2. Educare alla speranza. Educare alla speranza significa mostrare che un altro mondo è possibile e che possiamo contribuire a costruirlo insieme. Questa speranza non è ingenua, ma radicata nella realtà; non è passiva attesa, ma costruzione attiva. Con i bambini, possiamo affrontare onestamente i problemi, ma sempre cercando possibili soluzioni, valorizzare le piccole azioni quotidiane che fanno la differenza, coltivare l’immaginazione come capacità di vedere oltre il dato e celebrare i progressi collettivi, non solo i successi individuali. In questo modo formiamo non solo individui capaci, ma persone che sanno mettersi al servizio di qualcosa di più grande, che sono radicate nella terra ma con lo sguardo rivolto al cielo, in una tensione che è la cifra stessa dell’essere umano.
  3. Insegnare il pensiero critico. Questo è un tempo in cui ci si fa troppo in fretta un’opinione su qualcosa, non si ascoltano le voci differenti, non si va in profondità, si teme di essere una voce fuori dal coro o, se si ha questo coraggio, si rischia di coltivare un sé narcisista che vuole solo essere-contro qualcosa o qualcuno. Per fare questo, è importante apprendere in gruppo, discutere in gruppo.
  4. Verificare e insegnare a verificare ciò che è stato fatto. Solo così si disegnano processi e non ci si limita a occupare spazi, come dice papa Francesco. Questo vuol dire credere nell’arte della semina, anche quando non tutto appare un guadagno immediato.

Non adultizzare la vita infantile, buttando addosso ai bambini e alle bambine pensieri, paure e ideologie solo nostre, ma prendersi cura del loro presente

Tutti questi discorsi sono nostri, appartengono al nostro mondo di persone adulte che vogliono restituire all’infanzia il clima e l’orizzonte che sono propri di questa età. Loro non sono piccoli adulti, non dobbiamo attrezzarli, istruirli o formarli per le nostre competizioni, le nostre guerre, i nostri dolori o le nostre rivoluzioni.

Noi dobbiamo invece preoccuparci del loro presente e di che persone adulte saranno domani, cioè di come affronteranno gli imprevisti, cureranno le ferite, avranno cura degli affetti, coltiveranno il loro desiderio di sapere, faranno attenzione alle parole, avranno cura delle differenze, sapranno litigare, discutere e confliggere, riconosceranno le istituzioni per il bene pubblico, avranno a cuore la natura, sapranno sperare, mostreranno senso critico e disponibilità a verificare continuamente ciò che hanno o non hanno fatto.

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