La paternità rivoluzionaria di Giuseppe – San Giuseppe a Casa Sacerdoti (Negrar)

Allegato: San Giuseppe (Giubileo dei preti di Casa Clero)

San Giuseppe (Giubileo dei preti di Casa Clero)
(2 Sam 7,4-5a.12-14a.16; Sal 89; Rm 4,13.16-18.22; Lc 2,41-51a)
Casa Sacerdoti in Negrar di Valpolicella, mercoledì 19 marzo 2025

 “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Giuseppe non dice una parola in tutti i Vangeli. È Maria a definirlo: “tuo padre”. E noi vogliamo scoprire che “uomo” è stato, colui grazie al quale Gesù è discendente di Davide. Anzi l’uomo “giusto” che diventa “padre di molti popoli”. In che senso Giuseppe è padre? Non nel senso di certa cultura patriarcale che stenta a estinguersi e che tende ancora oggi a sostenere che esista per natura un sesso incline alla cura della relazione e uno chiamato ad essere noncurante. Al primo corrisponde la donna, che sarebbe riconducibile al “per chi”, cioè una creatura definita in base a chi ama, alle relazioni che coltiva, agli affetti, che si concentra sulla famiglia, culminante nella maternità. Al secondo corrisponde il maschio che si definisce in base al “per che cosa” nel senso che la sua vita si spiegherebbe in base a quello che fa, agli scopi che persegue, alle scoperte e alle imprese che porta a termine. In realtà c’è differenza tra maschio e femmina, ma non nel senso che la donna ha cura e il maschio invece no.  Proprio la paternità di Giuseppe ce lo rende manifesto.

A Giuseppe capita quello che nessuno immaginerebbe: scoprire che la tua donna aspetta un figlio e il padre non sei tu. Anche se c’è di mezzo lo Spirito Santo, lo smacco è tale che Giuseppe apparirà sempre un perdente. Non solo. Nella dottrina cattolica Maria è vergine “prima, durante e dopo” il parto. Dunque, Giuseppe mai si avvicinerà a lei e per questo sembrerà privo di istinti virili, descritto sempre anziano con la barba bianca. Da ultimo, Giuseppe sembra non esercitare alcune autorità paterna anche nell’episodio lucano che descrive la fuga del dodicenne nel Tempio. La mentalità patriarcale vacilla con Giuseppe, dunque, perché non comanda sulla moglie, non comanda al figlio ed è chiamato “putativo”, quasi come sinonimo di falso. Ma le cose stanno proprio così? In realtà, è grazie a Giuseppe che Maria non è stata uccisa a causa di una gravidanza misteriosa. È grazie a lui che Gesù e sua madre sono sopravvissuti alla furia del re Erode. È ancora grazie a Giuseppe che Gesù ha avuto un’infanzia e un’adolescenza serene. Giuseppe è, dunque, maschio in un modo che il maschilismo non c’entra niente perché in lui il “per che cosa” e il “per chi” coincidono in modo esatto. Fa cose sempre per qualcuno. E non per sé.

Anche noi preti siamo chiamati a vivere la nostra vocazione in modo corrispettivo alla paternità di Giuseppe. Non dobbiamo dimenticare mai che se Maria è stata scelta da Dio, Giuseppe è stato scelto da Maria. Scegliamo, dunque, la sua paternità rivoluzionaria che è lontana dagli stereotipi maschili, cioè non tossica, né predatoria, ma libera e coraggiosa. L’augurio è che ­­– come Giuseppe – sappia coltivare i nostri sogni e portarli avanti, mettendo insieme il “per che cosa” con “il per chi”. Insomma, viviamo “per amore e solo per amore” (Pasquale Festa Campanile, 1983).

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