C’è una bellezza silenziosa nella notte, quella che permette di scrutare il cielo e percepire la vastità dell’universo. Tuttavia, oggi non poche famiglie si sentono prive di stelle, avvolte in un buio che sembra impossibile da rischiarare. Il buio che parla di fallimento e di crisi. Il vescovo Domenico conclude la sua lettera pastorale invitando ad alzare lo sguardo, oltre l’opacità che disorienta e l’oscurità che avvolge. La volta celeste è un’immagine potente e suggestiva, una profonda intuizione spirituale: vieta i pensieri piccoli e accende i desideri, perché la volta celeste, anche di notte, non è nera, è abitata dalla luce. È una luce che proviene dal passato e dal futuro. Alcune stelle che vediamo brillare, che ci infondono gioia e ci emozionano, in realtà sono già morte, ma la loro luce continua a raggiungerci. Allo stesso modo, la testimonianza delle generazioni di credenti e di famiglie che ci hanno preceduto, con la loro fedeltà al Vangelo, con le loro vite, a volte molto difficoltose ma vissute nella speranza, ha lasciato una traccia luminosa nella storia della Chiesa e del mondo e nelle nostre storie personali.
L’essere umano non può vivere senza radici, senza punti di riferimento che gli offrano stabilità e orientamento. Quella luce continua a guidarci, dandoci fiducia e, forse, anche quel briciolo di sicurezza di cui abbiamo bisogno.
Tuttavia, i contesti mutano e uno sguardo rivolto solo al passato non può abitare generativamente l’avvenire. La realtà non è solo ciò che già è sotto i nostri occhi. Ci sono stelle che non sappiamo ancora vedere, che pulsano e vibrano, reali, ma la cui luce non è ancora arrivata fino a noi. Siamo in un momento di attesa attiva, in cui il discernimento comunitario diventa essenziale per affinare la vista e aiutarci reciprocamente a intercettare i segni delicati della trasformazione, di quella novità di linguaggi, di quel rinnovamento che lo Spirito continua a suscitare nel mondo.
Nella mia esperienza accanto alle famiglie in difficoltà – famiglie in crisi, confuse o sofferenti – vedo spesso persone che, pur temendo di aver smarrito la strada, continuano a cercare un futuro. In questa ricerca a tentoni non possono essere lasciate sole. La sofferenza di tante famiglie, e il senso di abbandono e di emarginazione che esse provano, infatti, può essere paragonata a quella “notte nera e minacciosa” evocata dal Vescovo attraverso le parole poetiche – e vissute – di Edith Stein, una notte in cui sembra che la vita stessa sia minacciata, consumata dalle difficoltà di ogni tipo. Tuttavia, è possibile far esistere, non per magia ma per amore, evangelicamente, anche un altro tipo di notte: una notte abitata, fatta di parole nuove, di accoglienza e compagnia, che spezzi l’oscurità e impedisca al buio di inghiottire tutto.
Nessuno è padrone del cielo stellato; tuttavia, la comunità ecclesiale può essere come la luce riflessa della luna: una luce che non solo affascina, ma illumina, accoglie, scalda il cuore e include. È una luce che rispetta la vita e le storie delle persone. Non è una luce facile: essa richiede disponibilità.
In uno dei passaggi più profondi della lettera, il vescovo Domenico parla della “fedeltà creativa”: vivere la tradizione non significa adorare le ceneri, ma custodire il fuoco. La tradizione, dunque, non può essere un peso per nessuno, tantomeno per le famiglie, ma una sorgente che ci ispira a scoprire, ancora una volta, il nostro modo di essere e di stare nel mondo, trovando nuove strade per continuare a far risplendere la luce di Cristo nelle nostre vite e in quelle dei nostri contemporanei.