In cerca di luce

di Fratel Enzo Biemmi

«Mi sento come in una stanza buia in cerca dell’interruttore». È un giovane che parla, uno dei tanti che a un certo punto se ne è andato dagli ambienti ecclesiali. Nella stanza della chiesa non ha trovato l’interruttore. Ha lasciato la religione ma non la ricerca. È la nostalgia che lo abita: «È la malinconia, forse Dio. Nel senso che ci sono quei momenti in cui stai bene ma senti… sempre un movimento interiore… a volte un’inquietudine o hai sempre la sensazione che ci sia dell’altro. Io ho sempre la sensazione che ci sia dell’altro nella vita. Quindi forse Dio è quello, cioè quello che non ci riusciamo a spiegare».

Quale luce cercano i giovani nella stanza della loro esistenza? «Mi chiedo che cosa ne sarà della mia vita». Si pongono domande esistenziali attorno alla morte, al male, al futuro. «La domanda su che cosa ci sarà dopo la morte è assolutamente la domanda che mi faccio di più». E il male: «Se c’è un Dio, come mai accadono delle cose terribili a delle persone che non hanno fatto assolutamente nulla?». E il futuro, non un futuro generico, ma il mio futuro: «Chi sarò tra cinque e dieci anni? Domani troverò una svolta nella mia vita?».

La stanza e la ricerca dell’interruttore da parte di tanti giovani ci introducono a piene mani nella lettera del vescovo Domenico Sulla luce. Il fisico Carlo Rovelli si chiede perché la luce ci apre il cuore all’alba, perché riempie di fotoni la stanza quando rincasando la sera giriamo l’interruttore. Il Vescovo riconosce il suo bisogno di “raccogliere luce”, e ci ricorda che “siamo di fatto donne e uomini ‘aurorali’, nati insieme alla luce, che non solo cercano la luce, ma credono nella Luce”.

Anche noi che crediamo nella Luce siamo come tutti “cercatori di luce”. Sta qui il paradosso del vangelo. Siamo chiamati a trasmettere luce cercandola sempre, perché non viene da noi. Quando parliamo di Dio lo facciamo umilmente, dicendo: «Fin qui e solo fin qui so arrivare», «anche per me esiste un limite. Proprio in questo limite si agita il mistero divino che ci rende capaci di riflettere luce e di emanare quel chiarore che restituisce speranza».

La lettera richiama il monito dei Padri. La Chiesa è la luna, non il Sole. La sua è luce riflessa. Essa è testimone di speranza solo se è discepola nella fede, sole se medita continuamente “il mistero che siamo e che ci avvolge”.

Questa postura discepolare è fondamentale nella pastorale. Forse dobbiamo uscire dalla prospettiva che noi abbiamo le risposte, che noi possediamo la luce e la dispensiamo a chi è nel buio. Ci comportiamo talvolta come se da una parte ci fosse un pieno e dall’altra un vuoto da riempire. Questo ci porta sempre a dare risposte, anche a domande che la gente non si pone. In questo tempo di crisi, in questo cono d’ombra dove tutti ci troviamo, non siamo chiamati a trasmettere agli altri una Buona Notizia tutta ben strutturata, di cui noi saremmo i detentori sicuri. Forse siamo chiamati ad andare con speranza verso gli altri per scoprire con loro, nei loro luoghi di vita, nel cuore della loro esistenza, le tracce del Signore che sempre ci precede, la luce del mattino di Pasqua che ci ha già raggiunti, ma che sempre ci sta davanti. La luce del Risorto infatti ci illumina dalle spalle, come memoria viva. E ci attira dal futuro, come promessa, perché Egli è il sempre Veniente. Mentre la doniamo per riflesso, questa Luce ci viene donata da coloro che accompagniamo. Perché in loro, nelle loro domande, nella loro “nostalgia” Dio è già presente. Siamo evangelizzatori se ci lasciamo continuamente evangelizzare.

Fratel Enzo Biemmi
Teologo e catecheta
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