La riforma partita in ottobre

Il “riassetto” ecclesiale al giro di boa

Mons. Falavegna illustra lo stato dei lavori

La riforma della Chiesa di Verona è giunta al giro di boa. Dopo gli incontri e i confronti con tutti i principali organismi ecclesiali diocesani, il processo, affidato dal vescovo Domenico ad una equipe di presbiteri, laici e religiosi, guidata da mons. Ezio Falavegna, è entrato nella fase più operativa. Ne abbiamo approfittato per fare con lui un punto della situazione e dare uno sguardo alle prospettive dei prossimi mesi.

  • Don Ezio come si configura la riforma della Chiesa di Verona?

«Innanzi tutto è bello evidenziare che il vescovo Domenico ha preferito parlare di “riassetto”, affidandoci l’immagine delle reti, che ci vede come pescatori che mettono in sesto i loro strumenti, togliendo ciò che impedisce la pesca e permettendo che essi possano essere ancora funzionali al loro obiettivo. Venendo invece al contenuto di questo processo, si tratta di un rimodularsi delle strutture perché siano sinodali, partecipative. E il motore della riforma è il primato del Vangelo della Misericordia. Questo viene messo in evidenza anche nell’ultima fase del Sinodo della chiesa universale, dove si sottolinea che questo tema deve diventare il senso emotivo di tutto il nostro operare. Quindi non è l’idea del “cambiamo tanto per cambiare”, per adeguarsi alle mode, ma è un ridare volto a ciò che chiede di essere ricentrato».

  • A guardare nelle parrocchie, il bisogno di “rimodulare le strutture” si percepisce concretamente. Talvolta però il cambiamento è percepito come un’autentica rivoluzione…

«Mi piace pensare che una riforma, prima di un’esigenza di cambiamento, sia un’espressione di gratitudine. È come una casa che un figlio riceve in eredità dai genitori. Senza interventi cadrà inevitabilmente a pezzi, mentre ristrutturandola e rendendola funzionale alle esigenze di chi dovrà abitarla ora, si compie un atto di gratitudine per un bene che il figlio ha avuto in dono. Questo per dire che, in fondo, noi siamo debitori verso chi, in tutto questo tempo, ci ha messo forze, energie, capacità per generare e accompagnare il dinamismo della nostra Chiesa».

  • Questo riassetto nasce però dalla spinta del vescovo Domenico…

«Il vescovo Domenico in due occasioni ha avuto modo di rilanciare questa necessità. Nelle visite pastorali e nel successivo documento di sintesi, consegnato al Consiglio presbiterale, ha indicato questa esigenza di cambiamento come prioritaria. E poi nella lettera Sul silenzio a pagina 56, dove ha inserito a riguardo un passaggio molto esplicito. Ma gli appelli a questa riforma sono stati molteplici. Partiamo da lontano – per modo di dire – dal nostro Sinodo della Chiesa di Verona, che ne parlò espressamente: emerse l’esigenza viva di un cambiamento, nel segno della dinamicità. Poi ancora il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze dove si è espresse in modo chiaro che la sinodalità deve diventare la cifra fondamentale dell’agire ecclesiale. E, in quel contesto, papa Francesco, introducendo nel Duomo di Firenze il convegno, ebbe a parlare di una riforma che si pone come essenziale».

  • Anche il recente Sinodo universale (“Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”) pare vada in questa direzione. È corretto?

«Certamente, il sinodo è un appello permanente a questa riforma, anche per quanto vissuto a livello di diocesi nei due anni della fase dell’ascolto. Partendo dalla sintesi diocesana, la comunità di rilettura ha individuato tre cantieri o processi creativi: della missionarietà, della ministerialità e, appunto, della sinodalità, che potremmo anche dire “del riassetto” di uno stile partecipativo di Chiesa.

  • E, per quanto visto sinora, cosa prevede dunque questo riassetto?

«L’intento è rimettere nel dinamismo della sinodalità quelli che sono anche gli organismi partecipativi della chiesa di Verona, che sono essenzialmente tre. Il Consiglio pastorale diocesano, il Consiglio presbiterale e il Collegio dei vicari foranei. Al momento della partenza del processo di riassetto, ci siamo trovati ad avere solo il Consiglio presbiterale nella sua forma statutaria, per cui il vescovo ha scelto di partire da lì. Lì è stata presentata a ottobre una bozza di lavoro, proprio in questa dimensione di sinodalità. Dal confronto sono stati accolti altri stimoli per riorientare il tutto. Due sono le esigenze fondamentali: essenzialità e funzionalità, ossia da un lato il ricollocare al centro del nostro operato ciò che è essenziale, il Vangelo, e dall’altro il valorizzare le risorse in termini anche funzionali, senza però scadere in logiche puramente produttive o efficientistiche».

  • Accanto a questi due punti di partenza avete individuato anche dei “binari” su cui procedere?

«Ci sono tre elementi fondamentali in cui attuare la riforma. Il primo il vescovo l’ha indicato nella finalità missionaria di ogni struttura e dimensione ecclesiale. Cioè il bisogno di uscire dalla propria autoreferenzialità e dalla logica di introversione. Un secondo riguarda lo stile sinodale-partecipativo, sia all’interno della comunità ecclesiale che nei suoi meccanismi. E poi la forma della diaconia, cioè dove il servizio deve essere contenuto e la modalità di realizzazione dell’annuncio cristiano».

  • Nel concreto quali saranno i prossimi passi?

«Il consiglio presbiterale si doterà di un nuovo statuto, il collegio dei vicari ha iniziato a riunirsi ogni mese con il vescovo e ha cominciato ad elaborare dall’interno un pensiero sulla funzionalità dello stesso organismo, mentre come equipe ora ci stiamo concentrando sul Consiglio pastorale diocesano che dovrà essere costituito ex novo e con un nuovo statuto. E poi gli organismi di curia, da cui il vescovo ha voluto che si partisse. Attualmente sulla carta uffici e organismi di curia sono in tutto 72. Questa realtà, che indubbiamente dice la ricchezza, ma anche la complessità di un vissuto, ci pone però davanti a degli interrogativi, ossia se questa possibilità di sinodalità non può tradursi anche in un convergere, dando snellezza ma soprattutto immettendo in una logica partecipativa e di servizio al territorio. Si procederà quindi all’accorpamento dei principali organismi e uffici di curia, attorno a due grandi ambiti, l’annuncio e la testimonianza, e ad un’area servizi generali, con il contemporaneo coordinamento, sulla base di un progetto condiviso. Seguirà una riforma più sostanziale e stabile, dopo un periodo di discernimento e di sperimentazione. Responsabili dei due ambiti e dell’area servizi saranno nominati tre delegati, che potenzialmente potrebbe essere presbiteri, ma anche laici o religiosi, uomini o donne. A loro spetterà il compito di coordinare l’attività del proprio ambito o area insieme al vescovo e al vicario generale, dando vita ad un movimento sinodale a tutti i livelli».

 

 

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