Oggi ricorre la Giornata mondiale del rifugiato. Per celebrarla abbiamo scelto di raccontarvi una storia. È unica: una voce, un volto, una vita tra le migliaia di chi è costretto a migrare.
Se dico Casamance cosa ne sapete in Italia? Probabilmente nulla perché nessuno vi racconta che da 40 anni questo spicchio di terra, schiacciata tra le frontiere di Senegal e Gambia è nella guerriglia, con terroristi, attentati e tanti traffici illegali. Io sono nato lì, dove terminano le vaste pianure del Sahel. Andare via da casa? E perché mai? Era così bella casa mia. Ma i terroristi e i trafficanti sono arrivati anche lì. Ho visto molti morti nel mio villaggio, anche della mia famiglia e a 19 anni non potevo morire. E così è iniziato il viaggio.
Mi chiamo M.D., oggi ho 28 anni e vivo in Valpolicella, lavoro in un importante ristorante, ho i documenti in regola, ho una casa in affitto insieme ad altri ragazzi africani che ci ha trovato la Caritas del paese in cui viviamo. Sono felice, ma se ripenso a quel viaggio…
Il Mali la prima tappa, ma anche là, tra problemi politici, i jihadisti e la mancanza di sicurezza, non era un posto dove stare. Mi sono spostato in Niger, che ho scoperto essere un paese molto povero, senza lavoro. È stato lì che per la prima volta mi hanno parlato dei camion che attraversano il deserto. Potrei definirlo il rischio più grande della mia vita: caldo assurdo di giorno, freddo di notte, niente cibo, poca acqua. Ho visto tanta gente morire nel grande deserto, anche bambini.
Arrivare in Libia salvo per me era come aver raggiunto il paradiso. Ho trovato lavoro presto, ma ho scoperto che all’esercito della Libia non piacevamo tanto noi africani. Una volta ci hanno rincorso e sparato a vista. Ho visto amici morire. Di lavoro ce n’era, ma vivevo nascosto, perché potevano spararti, catturarti e torturarti. Un ragazzo che conoscevo ha fatto lavori forzati per un anno, un altro mi ha raccontato delle torture con la corrente elettrica. Avevo paura, ma… cosa potevo fare?
Finché non hanno preso anche me. Prigione libica: cibo misero, poca acqua, lavori duri, frustate. Anche lì ho visto gente morire, ma ormai non ci facevo più caso. E quando la morte diventa normalità, è terribile! In quel posto ho visto violenze sulle donne che non si possono nemmeno raccontare. Fortunatamente avevo lavorato nei mesi precedenti e il mio capo era una persona buona. Credo sia stato lui a pagare il riscatto per me, altrimenti è stato Dio, ma una notte ci hanno lasciato la possibilità di fuggire e raggiungere la costa. Lì c’era un gommone ad aspettarci. Poi la storia la sapete: Mediterraneo, una nave di salvataggio, la Sicilia, l’arrivo a Verona e per fortuna la Caritas.
Se ci penso oggi… Casamance, il Mali, il deserto, la Libia, la prigione, il grande mare… sono vivo, sono qui in Italia. Sono un miracolato? Sì, perché ho visto troppi morti! Mando soldi a casa? Tantissimi perché la mia famiglia è fondamentale! Sono felice? Mamma mia! E ringrazio Dio ogni giorno per questa opportunità.