Come sappiamo, la Lettera pastorale di quest’anno ruota attorno al tema della luce e non è difficile capire il motivo di questa scelta: in un momento in cui le ombre della violenza e dell’ingiustizia si proiettano ovunque, c’è tanto bisogno di “raccogliere luce”. L’espressione può anche suonare astratta o romantica, ma sappiamo che anche nella poesia più armoniosa si agitano la concretezza della storia e la pressione reale del mondo. La luce di cui abbiamo bisogno si sprigiona dai volti pieni di speranza, dai gesti di pace, dalle parole di una politica che conosce la cura, dalle scelte che orientano l’oggi verso il bene di domani.
La Lettera invita a un vero e proprio risveglio della memoria, perché siamo esseri nati all’alba di un mattino di Pasqua: “siamo di fatto donne e uomini ‘aurorali’, nati insieme alla luce, che non solo cercano la luce, ma credono nella Luce”. Questo passaggio dalla minuscola alla maiuscola è significativo, ma va compreso bene: non è il segnale di un bivio – o di qua o di là –, ma espressione di una fiducia che ci tiene insieme, credenti e non credenti, per raccogliere le luci del mondo che passano silenziosamente per le tante crepe del reale e per trasformarle in fari nella notte.
L’immagine ci richiama la Lettera pastorale dell’anno scorso, dove abbiamo messo a fuoco le tante differenze del silenzio. Ci sono silenzi ottenebranti, venuti dalla paura di pagare un prezzo, dall’omertà, dalla complicità con il potere, dall’indifferenza, dall’umiliazione, dallo screditamento, dalla rassegnazione. Questi silenzi non fanno che gettare ombre sul mondo e infittire il buio dei contesti più violenti.
Ci sono però anche silenzi luminosi e illuminanti, capaci di far vedere la realtà per quello che è, e di orientarci verso il bene possibile. Da questi silenzi nascono le parole buone e i gesti solidali che consentono di “ritrovare il senso, il gusto della vita” e di creare spazi di ascolto per le voci soffocate dall’ingiustizia.
Per fare un esempio di questa connessione tra il silenzio e la luce, possiamo rievocare l’episodio evangelico dell’adultera trascinata davanti a Gesù, chiamato a esprimersi sul suo destino di donna peccatrice. Gesù tace e scrive per terra. Non gli interessa la luce farisaica, che tanto ricorda quella delle lampade usate negli interrogatori violenti per estorcere confessioni. Gli interessa la Luce che ogni soggetto può ricevere nella propria intimità quando si lascia raggiungere dalle parole vere. Come abile regista che fa puntare la luce nell’angolo più dimenticato della scena, Gesù sposta l’attenzione dal peccato di lei al cuore di coloro che la accusano. Dal suo silenzio nasce così la parola che illumina: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra».
Fare luce, dunque, non significa aprire processi contro le vite fragili, ma impedire al buio e al silenzio violento di inghiottire tutte le cose. È quello che scrive anche Edith Stein, ripresa dal vescovo Domenico alla fine della Lettera.
Si tratta ora di spezzare i silenzi che infittiscono le tenebre dell’ingiustizia, della violenza, del dominio, di quella cultura dello scarto che sacrifica le vite e il creato, per affidarsi solo a quei silenzi che si fanno grembo di parole e di gesti che riflettono la logica solidale e gratuita del vangelo.
Possiamo farlo insieme, come figlie e figli della luce e della Luce. Sapremo, ancora una volta, svegliare l’aurora?