Nel paragrafo 3.2.1 della lettera pastorale Sulla luce, il Vescovo invita a meditare sul rapporto esistente tra Cristo e la Chiesa. Richiama dapprima la ferma convinzione dei padri conciliari: la Chiesa, quando appare luminosa, riflette la luminosità di Cristo, vera Luce. Riportando le testimonianze di alcuni Padri (Origene, Agostino e Ambrogio), ricorda che la Chiesa è paragonabile alla luna che riflette la luce del sole, cioè quella di Cristo.
I Padri, seguendo alcune indicazioni della Sacra Scrittura, hanno parlato non soltanto del sole o della luna ma anche della testimonianza resa da tutti gli astri. L’Apocalisse dichiara che il Risorto è come la stella del mattino, perché annuncia la fine della tenebra e prepara lo splendore del pieno meriggio (22,16). Paolo aveva esortato i cristiani a risplendere come astri del mondo (Fil 2,15).
Alcuni sono stati affascinati dalla testimonianza resa dallo splendore silenzioso del firmamento. Osserva Teodoreto di Cirro: “Senza pronunciare parole o discorsi, ma manifestando soltanto il loro ordine regolare, [gli astri] invitano terra e mare a celebrare Dio” (PG 993). Mediante la voce potente della carità vissuta, si può, quindi, annunciare il Vangelo con forza, pur rimanendo in silenzio.
I Padri richiamano spesso un’immagine proposta da san Paolo che riassume tutto il significato della vita cristiana: “Riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine” (2 Cor 3,18). Noi possiamo sperare di illuminare perché Cristo è già presente in noi, fin dal Battesimo. Tutta la nostra vita cristiana è un assorbire sempre più intensamente, con il nostro consenso, la luce che ci ha illuminati in modo gratuito, precedendo ogni nostro merito.
Agostino ha meditato a lungo su questo passo, anche perché gli faceva comprendere il suo percorso di vita (La Trinità, XV, VIII, 14). Ogni uomo è uno specchio che mostra la gloria dell’essere stato costituito ad immagine di Dio. Chi vive nel male, rimane ad immagine di Dio, anche se piuttosto oscura (obscura imago Dei est). Ogni uomo riflette la gloria divina ma forse in modo troppo tenue. Deve, allora, ottenere una trasformazione e passare da una forma oscura ad una più luminosa. Questo avviene nell’evento della salvezza che completa l’atto creativo.
Già tempo prima aveva dichiarato: “Come per un corpo non è la stessa cosa essere e essere bello, così anche per uno spirito creato non è la stessa cosa vivere e vivere in modo sapiente”. Poi rivolgendosi al Signore, afferma: “Il bene per l’uomo consiste nell’essere unito a te, affinché la luce che ha conseguito con la conversione a Te, non la perda con il volgersi da un’altra parte. Anch’io, allontanandomi da Te, mia luce, sono stato un tempo tenebra in quella vita, e continuo a soffrire in quel che resta del buio fino a quando non sarò tua giustizia nel tuo Unigenito” (Confessioni XII,2,3).
La contemplazione e soltanto essa ci consente di custodire e intensificare la luminosità ricevuta, ma la contemplazione non consiste soltanto nella preghiera, ma nel vivere sempre in comunione con il Signore, nella sua grazia. Ecco un’immagine semplice che ci ricorda questa grande verità: “Immagina una pietra. Non appena l’allontani dal calore diventa fredda, Così anche tu, se ti allontanerai da Dio ti raffredderai; se ti avvicinerai a Dio ti riscalderai” (Ag PL 37,1175).
La contemplazione, infatti, corrisponde alla conversione che si prolunga per tutta la vita. Lo insegna un insigne monaco: “Chiunque desidera dunque vedere Dio pulisca il suo specchio, purifichi il suo spirito. […] Dopo aver pulito dunque lo specchio, comincia a balenare qualcosa della luce divina. Questa luce irraggiava gli occhi del salmista che diceva: ‘È impressa su di noi la luce del tuo volto, o Signore, ed hai donato la letizia nel mio cuore’ (Sal 4,7). Dalla visione dunque di questa luce che ammira in se stesso, l’animo si infiamma in modo meraviglioso e viene sollecitato a guardare la Luce che sta sopra di lui (Dio)” (Riccardo di San Vittore, Beniamino minore LXXII).