Caritas diocesana veronese ha organizzato in questi giorni l’assemblea dei soci di due delle sue opere segno, le associazioni San Zeno e San Benedetto. Assemblea che è servita per fare un punto della situazione delle realtà seguite dalle due organizzazioni di volontariato, ma anche per un confronto con quanto emerso al recente convegno nazionale di Caritas italiana.
Il metodo Caritas, esposto anche all’incontro di Grado, è sicuramente il modello in cui le due associazioni hanno lavorato in questo ultimo anno: ascoltare, osservare, discernere. Quindi stiamo parlando del lavoro dei Centri di ascolto, che rappresentano le comunità in movimento; degli Empori della solidarietà che rispondono a bisogni, intercettandone altri; dell’Osservatorio e di tutti gli strumenti utili per scoprire le risorse dei territori, come Ehilapp! o la mappa delle risorse; di campagne ad hoc, come “Occhio al futuro”, costruite intorno a esigenze intercettate nelle comunità; corsi di formazione, Officine culturali, progettualità specifiche, Officina futuro, un’attenzione alla solidarietà internazionale e alle emergenze. Insomma, una progettazione socio-pastorale a Verona che risponde in pieno ai tre verbi lanciati a livello italiano.
Il vescovo Domenico, presente all’assemblea dei soci, ha così riassunto il ruolo di Caritas nelle comunità: «La carità va compresa adeguatamente. Non è, come talora viene interpretata, una forma di assistenzialismo, dall’alto della nostra posizione, che è evidentemente sovrastante rispetto ai poveri. La carità è precisamente un’anticipazione di ciò che a noi sembra essere la condizione in cui noi dovremmo essere e vivere. E la Chiesa, facendo la carità, cioè vivendo questa esperienza, fa profezia. Profezia significa non inventare il futuro, ma significa in qualche modo anticipare quella che dovrebbe essere la condizione umana.
A Verona ci sono tante forme di disagio sociale, che ancora sembrano contraddire il mondo come dovrebbe essere: dalla condizione di crisi economica delle famiglie, alle fasce dei più deboli della società, dalle donne sole, ai migranti, dai disabili ai malati mentali. Stiamo parlando di tutte espressioni di un disagio sociale cui la Chiesa attraverso l’esperienza della carità prova a dare una risposta. E così facendo in realtà la Chiesa annuncia il Vangelo, perché le distorsioni del sistema che producono queste vittime, diventano per noi il modo con cui la Chiesa, facendosi carico delle povertà, ci dice anche quale dev’essere la strada che dobbiamo percorrere.
I volontari, i soci e gli operatori di Caritas, che ringrazio di cuore, non si impegnano solo dal punto di vista materiale delle cose che vanno della direzione della carità, ma lasciano anche intendere come dovrebbe essere il mondo, quali dovrebbero essere le condizioni in cui si dovrebbe vivere in modo dignitoso. Lo scopo ultimo della nostra Caritas non è fare politica: noi facciamo profezia! Interveniamo dentro quello che è il tessuto vivo, la carne di questa società, attraverso un agire che traduce in concreto la forza del Vangelo, che non è mai informazione, ma è trasformazione. Il Vangelo non è un racconto, ma è vita. Quando questo diventa concreto, diventa anche più comprensibile: la cosa che crea più stupore nella Chiesa non è tanto quello che crede, ma è quello che fa. E la carità non è una pezza che si mette alle situazioni di ingiustizia, ma è intervenire non solo sulla patologia della nostra società, ma anche sulla fisiologia della società stessa. Un esempio? Gli Empori sono diventati anche Officine culturali: cioè si è passati dalla fame materiale, che pure esiste, alla fame spirituale, dell’anima, e culturale. Concludo dicendo che Caritas deve restare nella stessa dimensione della Chiesa. La prospettiva che vedo è che Chiesa e Caritas siano concepite come la stessa cosa, non come due situazioni distinte. Questo perché il Vangelo è sempre qualcosa che mette insieme fede e società, dimensione verticale e orizzontale. In sintesi la Chiesa, attraverso la carità, annuncia il Vangelo, perché il Vangelo è questa buona notizia che descrive il mondo come Dio lo ha immaginato».