Allegato: Collegio dei Vicari
Mercoledì della III di Quaresima 2025
Collegio dei Vicari
(Dt 4,1-5-9; Sal 147; Mt 5,17-19)
Vescovado di Verona, mercoledì 26 marzo 2025
“In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto”. La letterina ‘iod’ in ebraico è la più piccola di tutto l’alfabeto. Si tratta di un piccolo trattino, quasi invisibile. Con una certa vocalizzazione la leggiamo “i” e serve per indicare che qualcosa “è inerente a me”. Così “lev” significa “cuore” e “levì” diventa “cuore mio” e così via. Quando Gesù dice che della Legge non passerà un solo “iota” o “iod” mi commuove. Significa che la legge è qualcosa “per me”, va interiorizzata, va vissuta come qualcosa che mi riguarda, non come imposizione esterna e vuota. Ogni vita ha bisogno di una regola, di una legge, ma non vissuta come una serie di prescrizioni da ottemperare, bensì come uno strumento per imparare a vivere e amare. Anche nella storia di san Francesco ha avuto un ruolo importante, pur in mezzo a mille traversie. Nel suo Testamento, non a caso, si legge: “E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io con poche parole e semplicemente lo feci scrivere, e il signor Papa me lo confermò”. Al di là delle complesse diatribe storiografiche, ciò che giova è cogliere il proposito vero di Francesco: “Vivere secondo la forma del santo Vangelo”. È questa la prospettiva che aiuta a ritrovare il nocciolo incandescente della Regola: Francesco guardava a Cristo. Noi saremmo tentati di guardare a Francesco. Ma è nel guardare a Cristo con gli occhi di Francesco che consiste la Regola perché per Francesco Cristo è tutto.
Le parole taglienti del Maestro ci aiutano a ritrovare le caratteristiche sorgive della vita secondo la forma del Vangelo che Francesco ha introdotto nella Chiesa, a partire da sé. La predicazione, anzitutto, che deve essere concorde e kerigmatica, non da liberi battitori e non moralistica come è accaduto da una certa epoca in poi. Francesco colpì tanti, per cominciare Dante, che ha lasciato scritto: “La lor concordia e i lor lieti sembianti / amore e meraviglia e dolce sguardo / facieno esser cagion di pensieri santi” (Paradiso, XI, 76-78). La preghiera, poi, deve essere autentica. Oggi essa è o soltanto personale o soltanto comunitaria, mentre solo nell’equilibrio tra le due esperienze si tiene insieme la spontaneità e la Chiesa. Soltanto una preghiera così, cioè personale e insieme liturgica, sarà in grado di risvegliare la sete di Dio nel cuore della gente. La povertà, infine, non è solo stare coi poveri, ma è essere poveri. Non basta la giustizia da perseguire se al contempo non siamo capaci di bastare a noi stessi e viceversa. Non basta vivere da poveri se ci si disinteressa della povertà strutturale che produce il mondo. Essere poveri è la premessa per combattere la povertà.