Lo spazio della scuola è uno di quei luoghi che abita la città e tutta la provincia per l’intera giornata. Ci si muove presto al mattino, ci si incontra per alcune ore e si fa ritorno nel pomeriggio a casa. La scuola, semplicemente, genera movimento e per questo dona riflessi di luce che emergono dentro storie brillanti o spente, aperte al futuro o abitate da ferite. In essa tutti siamo mendicanti di una luce da poter raccogliere nelle diverse relazioni che ogni mattina si riaccendono nei corridoi e nelle aule.
Il vescovo Domenico ci consegna alcuni tratti di questi riflessi, ne vorrei sottolineare due. Il primo guarda alla scuola come spazio di ricerca aperta, schietta, libera e audace. La lezione e la ricreazione sono i tempi della scoperta e della curiosità, non solo delle ripetizioni di quanto appreso. In questo senso non dobbiamo preoccuparci se un ragazzo o una ragazza sbaglia, ma se sono spenti e con una postura passiva di difesa. La ricerca, dal canto suo, prevede anche l’errore. Lo ricorda anche Carlo Rovelli: “Non si diventa Einstein se non si ha il coraggio di pubblicare cose sbagliate” (Buchi bianchi, p. 20). Il secondo riflesso di luce è l’esperienza dell’inclusione che si declina in aspetti diversi: cultura, disabilità, religione, genere e apprendimento. Sono molti gli sforzi e la creatività che ogni giorno tanti insegnanti mettono in campo per garantire a ogni studente e studentessa la possibilità di esprimere al meglio le proprie attitudini ed essere custoditi nelle diverse fragilità. Sperimentiamo che a scuola l’inclusione non è solo pensata ma vissuta, e questo genera una sensibilità che poi ciascuno e ciascuna da adulto potrà custodire. Al tempo stesso, però, il processo di inclusione chiede un continuo aggiornamento delle competenze. Non si può improvvisare, occorrono metodo e pazienza per continuare a raccogliere il prezioso riflesso luminoso che ci consegnano le esperienze di inclusione. Il tempo di formazione è riflesso di luce fondamentale, che aiuta a leggere quanto compiuto, a verificare le modalità che si attuano e a creare stili e metodi nuovi. Dentro l’orizzonte dell’inclusione ci viene consegnata anche la ferita più grave che vive la scuola: la dispersione. Don Lorenzo Milani osservava con estrema lucidità questa piaga, come riporta in Lettera a una professoressa: “La scuola ha un solo problema: i ragazzi che perde”. E sono tanti quelli che nel cammino si perdono, purtroppo molti già durante la scuola media. Tutto questo genera una tenebra silenziosa che ha e avrà effetti drammatici a livello sociale e culturale. La scuola è allora anche uno spazio di lotta, perché per non perdere nessuno occorre faticare e attuare un lavoro nascosto che porterà a piccoli ma preziosi riflessi di luce.
La scuola, come spazio di ricerca aperto e quotidiana esperienza di inclusione, resta la frontiera più importante in cui si continua a curare e costruire futuro. In essa si esercita l’arte di diventare grandi e responsabili, ovvero capaci di rispondere umanamente a ciò che l’avventura della vita in modo sorprendente ci dischiude sempre lungo il cammino. In questo senso essa resta sempre un riflesso fragile e fallibile, ma al tempo stesso insostituibile e sempre in un movimento di riforma. Non si arriverà mai a una scuola perfetta e questo non è l’obiettivo da prefigurarsi. Si tratta piuttosto di chiedersi incessantemente quali forme ci consentono oggi di scoprire e custodire la luce di ogni ragazzo e ragazza, e da lì continuare a far risuonarne la presenza.