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COME DONNE E UOMINI “AURORALI”

«L’attesa è un fiore semplice. Germoglia sui bordi del tempo. È un fiore povero che guarisce tutti i mali. Il tempo dell’attesa è un tempo di liberazione. Essa opera in noi a nostra insaputa. Ci chiede soltanto di lasciarla fare, per il tempo che ci vuole, per le notti di cui ha bisogno. La nostra attesa viene sempre soddisfatta di sorpresa. Come se quello che speravamo fosse sempre insperato. Come se la vera formula dell’attendere fosse questa: non prevedere niente, se non l’imprevedibile. Non aspettare niente, se non l’inatteso» (Ch. Bobin, Elogio del nulla).

Tra il seme piantato e il frutto che nascerà sboccia sempre un fiore: qualcosa di promettente e di bello, che però ha bisogno di cura, di vigilanza, di sostegno. Questo fiore evoca l’aurora, tempo che si distende tra il passato della notte e il futuro del giorno, quando nel buio piano piano la luce comincia nuovamente a farsi strada.

Occorre saper restare nella sospensione di questo passaggio e tornare a raccontare il Vangelo senza chiuderlo anticipatamente nel suo lieto fine. «Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato», scrive Bonhoeffer, ma mani impietose e deluse lo gettano via perché ancora aspro.

Come donne e uomini “aurorali”, restiamo in questo tempo sospeso e scommettiamo ancora una volta sulla luce di un Vangelo che rinasce oggi tra le barriere e i muri, tra le macerie della storia, tra le tante paure di perdere il poco che ci resta.

Sia questo un tempo di attesa dell’imprevedibile, un tempo di cura dei semi piantati, un tempo di contemplazione dei fiori sbocciati, un tempo in cui fare di ogni piccola cosa una possibilità di pace. Attendere sia un modo per liberare.

 

Domenico, vescovo

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