Il 3 ottobre a San Bernardino si è celebrato il transito di San Francesco.
Quest’anno oltre alla benedizione dei pani c’è stato anche il rito dell’olio profumato sulle mani a ricordo delle stimate di San Francesco di cui ricorrono gli 800 anni.
Il vescovo Domenico nella sua omelia ha analizzato in modo originale l’umiltà di Francesco, dicendo che “era tutt’altro che una personalità umile, dimessa, con un passo indietro. Era piuttosto una persona perennemente in attesa di progredire, di sopravanzare, di affermarsi, di realizzarsi. Certamente un rampollo orgoglioso, ma l’incontro con il Dio di Gesù Cristo lo ha cambiato radicalmente”.
Quindi ha specificato: “Essere umili allora non significa essere scontenti di se stessi, avere una scarsa autostima, e neppure essere umili significa riconoscere la propria miseria, né per certi versi la propria piccolezza. Essere umile è guardare innanzitutto a Dio prima che a se stessi e misurare con questo abisso che separa il finito dall’ infinito. Più ci si rende conto di questo e più si diventa umili. Come quando banalmente ci si misura con la natura nella sua straordinaria imponenza e si scopre di essere quello che siamo. A maggior ragione se a misurarci lo facciamo
con Dio”.
Infine ha richiamato le Laudi di Dio altissimo scritte da Francesco ad Assisi, in cui è espressa proprio l’umiltà come una delle perfezioni di Dio, insieme a santità, forza, carità: “Qui scopriamo che se l’incarnazione del Figlio cioè questa discesa nella nostra condizione umana, è il grado più perfetto dell’umiltà, essere umili non è sentirsi piccolini, non è neanche proclamarsi piccoli, come qualche volta facciamo in modo peloso, ma è farsi piccoli. Non per qualche
necessità o qualche utilità personale, ma semplicemente per amore! Farsi non sentirsi ne “sembrare” ne “parlare “così appare Gesù che si fa piccolo sino al punto di annullarsi durante la lavanda dei piedi”.