Mozambico giovani: a metà del viaggio

Campo di missione e servizio

È giunto al giro di boa il viaggio in Mozambico dei giovani veronesi, impegnati nel campo di missione e servizio promosso da Centro di pastorale adolescenti e giovani e Centro missionario diocesano. Ecco una nuova riflessione dei viaggiatori.

Siamo a metà dell’ esperienza, qui a Namahaca, nel nord del Mozambico. Ormai abbiamo visitato molte famiglie, sperimentando a pieno la loro esuberante ospitalità che talvolta ci sembra eccessiva, mettendoci quasi in imbarazzo.

Da un lato gli incontri, le conversazioni e i nostri confronti diretti con questa gente ci mettono allegria e curiosità; ci chiedono se la mandioca e la papaya crescono anche in Italia, si stupiscono delle foto che mostrano la neve e le strade ghiacciate. Da parte nostra ammiriamo la loro sapienza nelle loro mansioni giornaliere. Anche solo togliere le scorze alla mandioca, tagliare la verdura o triturare gli anacardi è un’ arte e ci stupisce la maestria delle “mama”.

Dall’altro lato oggi in particolare (1 agosto) siamo stati molto scossi e il nostro sogno ad occhi aperti in questa realtà si è come interrotto.

Cominciamo a vedere i problemi più profondi di questa gente, che non si limitano alla povertà prettamente economica.

La salute è molto precaria: una bambina con un’ infezione allo stomaco che ha raggiunto tutta la bocca, una signora che in un incidente si è rotta le ossa di una gamba. Sono solo due esempi di persone che non hanno alcuna possibilità di essere curate. Il padre della bimba ci ha raccontato di come all’ospedale, non potendo pagare 3 Mila metkais (corrispondenti a circa 40 euro), è stata rimandata indietro. Comunque sia, anche negli ospedali non ci sono le condizioni per curare così tante persone; aggiungiamo il fatto che molti infermieri sono corrotti e vendono illegalmente i medicinali per ricavarne un profitto.

E nonostante il padre di questa bambina stesse cercando di darle una medicina, il fatto che il cucchiaio fosse stato preso dalla terra, cancella molte speranze.

Il primo sentimento è la rabbia, com’è possibile che non ci sia nessuno che cerchi di aiutare questa gente! Sembra quasi che sia presente un sentimento generale di rassegnazione che annichilisce le speranze e normalizza tragedie come queste.

Siamo molto scossi, il perché di queste ingiustizie si fa ogni giorno sempre più forte, ma bisogna ricordare tutte le differenze culturali. Per esempio è molto differente il rapporto che hanno queste persone con la morte e con la sofferenza. Anche le emozioni sono espresse in modo diverso, anche solo un abbraccio è un gesto estraneo per la gente Macua; per non parlare della religione tradizionale che dà loro, anche se cristiani, una sensibilità per noi in questo momento impossibile da scrutare.

Da parte nostra è difficile interiorizzare tutto ciò e cerchiamo di stare in questa situazione, anche se la rabbia sovrasta i nostri cuori per un mondo così ingiusto e ci facciamo la domanda che in realtà accompagna ogni persona: perché le persone devono soffrire?!

Le risposte tarderanno ad arrivare, forse in tutta la vita non arriverà neppure un indizio, ma per adesso qui a Namahaca la vita procede “vakani vakani”, pian piano, la vita va avanti comunque, non sapendo quale imprevisto potrà capitare il giorno dopo.

Questo popolo riesce comunque ad attrarci sempre più e, anche se le difficoltà sembrano insormontabili, il sorriso rimane costante e autentico nel tenerissimo volto dei bambini, nelle nonne orgogliose di tutti gli eredi che girano per casa e negli adulti che sostengono la vita di tutta la loro grande famiglia. Tutto questo può solo che commuoverci.

 

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